Editoriale
Con questannata del 2002 arriviamo al nostro trentesimo anniversario,
un traguardo che ci eravamo prefissati e che comunque intendevamo raggiungere
dopo i grandi cambiamenti che si sono susseguiti nellultimo decennio
di vita della nostra rivista. Come sempre alla scadenza dei cinque anni,
ossia dei venti numeri, è nostra intenzione pubblicare a fine
anno lindice analitico comprendente i numeri 101-120.
Ci fa piacere valorizzare questo trentesimo anniversario con la presenza
di alcuni articoli particolarmente significativi. Il primo è
un ampio e dettagliato scritto che il chitarrista e studioso finlandese
Jukka Savijoki ha dedicato ad Anton Diabelli. Proveniente da una sua
precedente tesi di laurea, per quello che ci risulta è finora
lunico studio di tali entità e dimensioni compiuto sullopera
chitarristica di Diabelli, a nostro parere un autore ancora troppo poco
conosciuto e che soprattutto nellambito della sua vasta produzione
cameristica può destare alcune gradite sorprese. La prima parte
qui presentata è dedicata in generale alle vicende biografiche
e alla produzione non chitarristica, mentre le successive puntate a
partire dalla prossima prenderanno in esame lopera per e con chitarra.
Un altro importante articolo che prende avvio con questo numero, per
poi proseguire durante lannata, è a firma di Mimmo Peruffo,
cordaio professionista e appassionato studioso di quel particolare aspetto
tecnico della chitarra tanto determinante quanto, per certi versi, ancora
abbastanza misterioso: le corde. Tramite la disanima del percorso storico
attraverso i secoli, è possibile venire a conoscenza delle modalità
di fabbricazione e dei materiali impiegati, delle caratteristiche fisico-acustiche
(elasticità, resistenza, durata, timbro, ecc.). Emergono in tal
modo interessanti valutazioni sulle differenze qualitative delle corde
del passato rispetto a quelle del presente (con esiti non così
scontati come si potrebbe pensare di primo acchito). Particolarmente
degna di nota è lampia sezione dedicata alle corde di minugia,
soprattutto alla luce del fatto che ai giorni nostri, con la grande
riscoperta del repertorio antico e il conseguente ritorno allimpiego
degli strumenti originali, ormai diversi interpreti si servono delle
corde di budello.
Assieme agli articoli che con il 2002 prendono avvio, ve ne sono altri
che invece arrivano al loro compimento. Con questo numero si conclude
lampio excursus storico di Daniele Russo dedicato alla millenaria
arte dellimprovvisazione, tra laltro con interessanti aneddoti
riguardanti Nicolò Paganini, mentre nel corso dellanno
si completerà lesaustivo contributo di Antonio Borrelli
volto a esaminare lopera omnia per chitarra di Reginald Smith
Brindle.
In realtà in questo numero vi doveva essere anche la seconda
puntata dellanalisi della Sonata di Ginastera. Ma durante la preparazione
dello scritto Paola Brino ha riscontrato alcuni elementi degni di ulteriori
approfondimenti: daremo conto di tutto nel prossimo numero di aprile.
I due In memoriam dello scorso numero dedicati a Miguel Ablóniz
e Abel Carlevaro hanno suscitato più di unemozione: ci
hanno infatti scritto con sentita partecipazione Aldo Minella e Giorgio
Ferraris che rievocano le esperienze vissute con questi importanti personaggi
del mondo della chitarra. I loro ricordi hanno trovato spazio nella
rubrica delle Idee a confronto.
Arriviamo adesso al nostro consueto appuntamento con lattualità,
questa volta riguardante un avvenimento svoltosi allestero e più
precisamente a Londra.
Lunedì 26 novembre nella splendida sala in stile liberty della
Wigmore Hall si è tenuto lAnniversary Recital di Julian
Bream, celebrante i cinquantanni dal debutto del grande chitarrista
inglese nella sala londinese, avvenuto appunto il 26 novembre del 1951.
Il concerto è stato splendido e Bream era in uno stato di forma
decisamente felice, in particolare se pensiamo alle ultime esibizioni
cui abbiamo assistito in Italia. Di certo, comunque, non sembrava affatto
un concertista ormai alle soglie delletà di pensionamento,
anzi un chitarrista in pensione come Bream stesso purtroppo
ha voluto definirsi. Ci è addiritura sembrato che manifestasse
uno spirito giovanile ricco di entusiasmo per le novità, pieno
di voglia di sfidare sé stesso misurandosi con difficoltà
sempre nuove. Il programma, assai interessante e tuttaltro che
disimpegnato, prevedeva nel primo tempo la Suite n. 6 in Do minore di
Robert de Visée e la Suite n. 6 in Re maggiore BWV 1012 per violoncello
solo di J. S. Bach. Nella seconda parte si susseguivano la inedita Sonatina
di Cyril Scott, due pezzi di Albert Roussell (Valse, op. 17 e Segovia,
op. 29), Pour un hommage à Claude Debussy di George Migot, Muir
Woods di Toru Takemitsu, Hika di Leo Brouwer e, per concludere, due
pezzi di Manuel de Falla, la Canción del fuego fatuo da El amor
brujo e il celeberrimo Homenaje. Il successo è stato caloroso
ed era veramente commovente assistere allaffettuoso tributo di
un pubblico desideroso di applaudire la luminosa carriera di un artista
quale Julian Bream. Nella Wigmore Hall, gremita in ogni ordine di posti,
si poteva riconoscere, assieme ad altri chitarristi stranieri provenienti
da ogni dove, un drappello di chitarristi italiani che non ha voluto
mancare a un appuntamento così significativo. Fra essi, Emanuele
Segre e Frédéric Zigante, cui abbiamo chiesto le loro
impressioni:
Particolarmente coinvolgente è stata lesecuzione
del brano di Migot il quale è stato completamente riscritto da
Bream. Con grande fantasia e con un geniale uso dello strumento ha messo
mano alla partitura ridando vita e interpretando in maniera particolarmente
ispirata questa affascinante e complessa pagina. È straordinario
che, ormai prossimo ai settantanni, Bream abbia presentato un
programma dedicato in gran parte a brani mai affrontati precedentemente.
Memorabili anche lintensità dellesecuzione dellHomenaje
di De Falla con il quale ha concluso il concerto e la freschezza della
Suite di De Visée iniziale. Alla fine del concerto, in un pub
vicino alla sala, ho chiesto a un amico le sue impressioni sul concerto:
pure magic è stata la sua risposta. E sì,
he is really a wizard of the guitar, è stata la mia
risposta. (Emanuele Segre)
Vorrei, come Julian Bream, arrivare anchio a sessantotto
anni mantenendo intatta, nonostante la lunga carriera e le vicissitudini
personali, la voglia di studiare nuovi brani e di fare partecipi delle
nuove scoperte tutti i miei ascoltatori, sollecitando in loro una curiosità
troppo spesso lasciata a riposo. Le prime della Sonatina di Cyril Scott
e di Pour un Hommage à Claude Debussy di George Migot sono state
un dono prezioso e indimenticabile, degno della ricorrenza dei cinquantanni
dal debutto alla Wigmore Hall. Julian Bream ha consentito per due ore
a coloro che come me credono in una chitarra diversa da quella corriva
delle odierne piazzollate-koyumbabe, di continuare a credere che leroica
chitarra degli anni 60 e 70 che si emancipava orgogliosamente
dai dettami tarrego-segoviani mantenga immutata nel tempo la propria
ragion dessere. (Frédéric Zigante)
Crediamo di esprimere laugurio di tutti auspicando che Bream torni
sulle sue decisioni e che non rinunci a far parte del concertismo militante.
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