Editoriale del numero 120
Con questo numero d’autunno compare l’ultimo
inserto della rivista ottocentesca “The Giulianiad”, pubblicazione
in sei fascicoli che avevamo iniziato nel gennaio del 1999. Come ricordavamo
allora nella presentazione del progetto editoriale, “The Giulianiad”
fu fondata e pubblicata a Londra fra il 1833 e il 1835 e, come dice
il titolo, dedicata a Mauro Giuliani. Sembra che i fondatori della rivista
fossero stati tutti – chi più, chi meno – secondo
quanto afferma Thomas Heck (cfr. l’articolo Horetzky e la Giulianiad
in “il Fronimo” n. 12, luglio 1975, pp. 23-26 e le pp. 133-137
in Mauro Giuliani: Virtuoso Guitarist and Composer, Orphée, Columbus,
1995), allievi di Giuliani. Con ogni probabilità, pur non comparendo
mai le loro firme, essi furono Ferdinand Pelzer, Leonhard Schulz (il
giovane), Felix Horetzky e J. A. Nuske. È bene ricordare che
il testo da noi tradotto è quello conservato alla British Library
ed è l’unico esistente a nostra conoscenza. Non abbiamo
ritenuto opportuno pubblicare il materiale musicale che completava i
fascicoli perché si tratta, a nostro giudizio, di pezzi mediocri
e di scarsa o nessuna rilevanza.
Attraverso la lettura della rivista inglese abbiamo
preso conoscenza dell’ambiente chitarristico ottocentesco dopo
l’esperienza di Giuliani, il che ci consente di fare qualche considerazione.
Innanzitutto, più volte abbiamo riscontrato negli autori degli
articoli una crescente preoccupazione circa il graduale declino della
chitarra rispetto alla sempre più rapida diffusione del pianoforte.
Tale preoccupazione era indubbiamente giustificata ma, forse, dietro
la loro attività giornalistica si nascondevano anche altre motivazioni.
Forte è il sospetto che i curatori di “The Giulianiad”
abbiano voluto dare una visione volutamente parziale di quanto stesse
accadendo attorno a loro: se ci si fa caso, i titoli delle opere recensite
o delle musiche pubblicate sono quasi sempre gli stessi. Non è
che volessero tirare un po’ troppa acqua al proprio mulino?
Thomas Heck, nell’articolo più indietro
ricordato, arriva addirittura a sospettare maliziosamente che l’autore
di una recensione in cui si loda incondizionatamente una Fantasia di
Nuscke sia proprio lo stesso Nuske… Non solo. Proprio fra il 1833
e 1835 era estremamente attivo, e proprio a Londra, il grande Giulio
Regondi, la cui luminosa fama di enfant prodige era al massimo fulgore:
numerose esibizioni in prestigiose sale e più volte alla presenza
dei Reali. Ebbene, in “The Giulianiad” il nome di Regondi
non compare mai neanche una volta, neppure di sfuggita: veramente strano,
se pensiamo che la rivista sembrava invece estremamente attenta a tutto
quanto succedeva attorno alla chitarra e avrebbe quindi dovuto almeno
far cenno agli straordinari successi di un bambino prodigio. Ancora
più strano se ricordiamo che invece “The Harmonicon”,
un’altra rivista musicale londinese più volte citata nella
“Giulianiad”, dava ampi ed entusiastici resoconti dei concerti
del giovane Regondi. Forse il declino della chitarra dopo Giuliani non
fu causato solo dai mutamenti estetico-musicali, innegabilmente sfavorevoli
al nostro strumento, ma anche dalla mediocrità dei personaggi
che avrebbero dovuto rappresentarla ai massimi livelli.
Con questo numero si conclude anche la serie di articoli
dedicati alle corde e alla loro storia: in questa puntata Mimmo Peruffo
ci illustra i radicali e repentini cambiamenti che l’avvento del
nylon portò nella fabbricazione e nella commercializzazione delle
corde, evidenziando con la giusta rilevanza quanto importante fu il
ruolo di Andrés Segovia in questa svolta diremmo quasi epocale.
Siamo sicuri che questo ampio e importante contributo permetterà
di avere le idee più chiare nella scelta delle corde da usare,
problema da sempre e giustamente di grande interesse per tutti noi chitarristi,
costantemente alla ricerca quasi utopica della corda perfetta.
Sostanzialmente concluso è anche l’ampio studio monografico
dedicato ad Anton Diabelli e alla sua produzione musicale.
Nel prossimo numero, il chitarrista e studioso finlandese
Jukka Savijoki prendendo spunto dalle pubblicazioni di Diabelli analizzerà
la questione della notazione in uso nelle edizioni ottocentesche, questione
quanto mai importante e ancora ricca di insidie e fraintendimenti, soprattutto
in questi ultimi tempi in cui la diffusione e l’impiego di facsimili
conoscono un successo sempre maggiore.
Completa la sezione dedicata alle ricerche e agli approfondimenti un
prezioso articolo di Mario Dell’Ara, storico collaboratore de
“il Fronimo” che con piacere accogliamo nel numero che chiude
il trentesimo anno della rivista: il colto musicologo piemontese ci
illustra con acribia e attenta prospettiva storica – non senza
l’apporto di nuove e importanti informazioni – il delicato
passaggio dall’intavolatura alla notazione mensurale, problematica
da sempre al centro di ricerche, teorie, riflessioni e ripensamenti.
Due sono le interviste presentate in questo numero. Hopkinson Smith.
era stato intervistato da “il Fronimo” più di vent’anni
fa: diversa acqua è passata sotto i ponti dell’affascinante
mondo del liuto e l’intensa carriera di Smith ci testimonia la
grande popolarità e la capillare diffusione che ha ormai raggiunto
la musica antica.
Giuseppe Gaccetta, protagonista della seconda intervista, è un
personaggio particolarmente interessante anche se non direttamente legato
all’ambito chitarristico. Giorgio Ferraris, da sempre attento
a storie e persone del caleidoscopico ambiente genovese, ha infatti
dialogato con un ex falegname novantenne che fino all’inizio della
Seconda Guerra Mondiale era stato un formidabile virtuoso del violino
dalla tecnica prodigiosa che proveniva direttamente da Niccolò
Paganini. Nel corso della sua attività musicale ebbe modo di
conoscere e collaborare anche con diversi membri della scuola chitarristica
genovese, alcuni dei quali Giorgio Ferraris ci aveva già fatto
conoscere in precedenti articoli (vedi “il Fronimo” n. 106,
aprile 1999).
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