L' editoriale
        Ci congediamo dal 2004 con l’ultimo appuntamento
          dell’editoriale, rubrica che nel numero scorso avevamo tralasciato
          per problemi di spazio. Prima di tutto, vorremmo dare un paio di comunicazioni
          di ordine pratico. 
          Intanto ci vogliamo scusare per il ritardo con cui questo numero di
          ottobre è stato
  consegnato alle stampe. Per la verità, è la prima volta che accade
  nei dieci anni della nostra gestione: tolti i cronici ritardi delle poste nel
  recapito della rivista agli abbonati – ritardi ovviamente estranei alle
  nostre responsabilità – siamo sempre stati puntuali alle scadenze
  trimestrali. I motivi di questo ritardo, tuttavia, non mancano. Innanzitutto
  sono stati necessari alcuni interventi di riorganizzazione della nostra sede
  di via Orti: al momento dell’insediamento, la necessità di non
  interrompere la regolare scansione della rivista ci obbligò a posticipare
  alcuni lavori che però nell’arco di questi anni erano ormai diventati
  inderogabili, in particolare per la gestione e la sistemazione del materiale
  che copiosamente si è accumulato in questo periodo. Inoltre la stretta
  concomitanza fra il momento dell’impaginazione della rivista e alcuni
  importanti avvenimenti nell’ambiente chitarristico – che ha visto
  la diretta partecipazione della redazione e di alcuni collaboratori – ha
  forzosamente obbligato a spostare le date di scadenza. 
  La seconda comunicazione riguarda purtroppo un’altra inevitabile esigenza,
  ossia quella di ritoccare il costo dell’abbonamento (che sale da 26 a
  30 euro all’anno). Il consistente rincaro dei costi di spedizione e non
  solo, ci ha obbligato a questa decisione dopo avere per ben quattro anni mantenuto
  lo stesso prezzo. 
  A questo punto avevamo programmato di passare in rassegna, come di consueto,
  alcuni avvenimenti. Ci limitiamo invece a un commento dell’attualità più generico  
  Purtroppo la stagione concertistica che si apre non si prevede molto ricca.
  Sempre più spesso incontriamo organizzatori e direttori artistici di
  stagioni chitarristiche che, scoraggiati e preoccupati dalla scarsa partecipazione
  del pubblico ai concerti, rinunciano alla programmazione. Ma forse quello che
  a noi preoccupa di più non è tanto la diminuzione del numero
  dei concerti di chitarra in genere, ma l’aumento di quelli che vedono
  come protagonisti certi chitarristi che – a nostro parere – rappresentano
  situazioni di confine: tra il classico e il leggero, tra il serio e lo scabroso,
  tra l’essere musicisti o saltimbanchi. 
  Come si spiega
  l’atteggiamento contraddittorio di un pubblico che fino a ieri apprezzava
  lo stile sobrio (e persino ingessato) e si compiaceva di disquisire pedantemente
  sul numero degli abbellimenti, sulla natura del bel suono, su chi fosse o meno
  autorizzato, o degno, di suonare Bach, su quali gesti fossero permessi, tollerati
  o esagerati? Come si spiega che ora lo stesso pubblico va in visibilio davanti
  a personaggi stravaganti (in qualche caso diremmo anche ignoranti) che usano
  la pagina scritta solo come pretesto e ne sconvolgono ad libitum e gratuitamente
  il senso in nome di una “musicalità” che farebbe arrossire
  pure le signorine dilettanti degli anni ’20, oppure che la ridicolizzano
  con comportamenti clowneschi come se non si trattasse di un concerto (di musica “classica”,
  come qualcuno si ostina e definirla) ma di un dopo cena tra amici un po’ brilli
  che si divertono con la chitarra in mano? 
  Noi cerchiamo di spiegarcelo non solo perché incuriositi da tale inversione
di tendenza, ma anche perché preoccupati da queste avvisaglie di ritorno – secondo
noi – a tempi oscuri dove i chitarristi vivevano in un mondo a sé parlando
e divertendosi con cose che gli altri musicisti – poveri loro? – non
avrebbero mai potuto capire. Chi potrebbe comprendere affermazioni del genere: “Che
bello una volta tanto non riconoscere i soliti pezzi!”?  
Ma se si è stufi di Asturias, allora perché suonarla? Soprattutto,
secondo quale logica diventa più interessante quando trascinandola all’inverosimile,
strascicandola, comprimendola, affrettandola, stiracchiandola e lisciandola la
si rende irriconoscibile? 
Si può anche considerare Mertz un mediocre, e Paganini un istrione: va
benissimo, è una questione di gusti personali. Suonare questo repertorio
non è affatto obbligatorio, ma a chi giova mimarlo ridicolizzandolo e
provocando le risate del pubblico come se non si trattasse di un concerto ma
di un numero di varietà?  
A questo punto l’unica risposta che ci possiamo dare è che il pubblico
chitarristico sta diventando annoiato, demotivato, disincantato e diseducato.
E ha bisogno di stravaganze per risvegliarsi dal torpore. 
Sì. Lo sappiamo che ci si può controbattere che la nascita e il
successo della tipologia del chitarrista stravagante altro non è che una
conseguenza della proliferazione dei chitarristi-burocrati. Questa contrapposizione
di due estremi non ci tranquillizza affatto.  
Man mano che scriviamo queste righe ci prende lo sconforto. E ci chiediamo che
ruolo può avere una rivista come la nostra in un mondo chitarristico che
sta cambiando prendendo simili direzioni. 
   
Qualcuno vorebbe risponderci per favore? 
 
Lena Kokkaliari  |