Editoriale
Nell’editoriale del gennaio scorso vi avevamo preannunciato un anno ricco di importanti novità musicologiche; ebbene, dopo la riscoperta della Toccata di Joaquín Rodrigo presentata con un articolo sull’ultimo numero eccovi ora un altro, clamoroso ritrovamento: Frédéric Zigante ha scovato negli archivi delle Edizioni Max-Eschig un inedito di Heitor Villa-Lobos. A quarantasette anni dalla scomparsa del compositore brasiliano, abbiamo ancora la fortuna di poter cogliere le gemme della sua straordinaria produzione. Per i particolari vi rimandiamo all’articolo di Zigante.
Ma le scoperte non finiscono qui: nei numeri di luglio e ottobre vi presenteremo i lavori finora sconosciuti di due grandi della chitarra: non vogliamo anticiparvi nulla per non rovinare la sorpresa, vi diciamo solo che i due compositori in questione sono uno dell’Ottocento classico e uno del Novecento storico e che le loro opere sono decisamente particolari.
Ma torniamo a questo numero. Lorenzo Micheli ha intervistato per noi Jakob Lindberg in occasione del suo concerto tenuto a Cologno Monzese nella consueta stagione chitarristica, concerto nel quale ha suonato su un rarissimo esemplare di liuto della fine del Cinquento costruito da Sixtus Rauwolf. Soprannominato da Lindberg “Mr. Old Lute”, questo strumento è stato lo spunto per un interessante scambio di opinioni tra l’intervistatore e il liutista svedese sulla musica antica.
Oltre al già menzionato articolo di Zigante sull’inedito di Villa-Lobos, lo spazio dedicato alle ricerche e agli approfondimenti vede la presenza dello scritto di Eduardo Fernández, le cui intelligenti e stimolanti analisi di importanti brani del repertorio stanno diventando per la nostra rivista una rinfrancante e piacevole consuetudine. A finire sotto la sua attenta e minuziosa griglia analitico-interpretativa questa volta è Changes di Elliott Carter, musicista newyorkese che, ormai prossimo ai novant’anni (classe 1908), è unanimemente considerato come uno dei massimi compositori viventi. Esposta brillantemente da Fernández, la sua teoria degli eventi musicali, della loro successione, concatenazione ed evoluzione all’interno di questa pietra miliare del repertorio contemporaneo ci permette di coglierne l’autentica identità e di comprenderne la non semplice struttura costitutiva.
Un contributo differente ma ugualmente interessante è quello di Alfonso D’Avino sulla figura eclettica e ben poco conosciuta di Hans Haug. Nell’articolo, tratto dalla sua tesi di laurea, D’Avino tratteggia le vicende biografiche del musicista svizzero e stila il catalogo completo delle sue opere per e con chitarra. Finalmente veniamo così a sapere qualcosa di più sull’autore di Alba e di altre opere che attirarono l’attenzione di Segovia. Hans Haug è un compositore che sta tornando a galla grazie anche all’inserimento in repertorio di alcuni suoi brani da parte di David Russell, come abbiamo potuto constatare anche in occasione del suo concerto tenuto nel mese di febbraio a Cologno.
Completa infine le ricerche e gli approfondimenti lo scritto firmato a quattro mani da Danilo Prefumo e Massimo Agostinelli riguardante un cospicuo Fondo di opere manoscritte e a stampa recentemente rinvenuto in Lombardia. L’interesse di questo Fondo musicale non risiede nell’importanza artistica o storica degli esemplari contenuti, in quanto non vi sono autografi di personaggi importanti. Ciò che deve attirare la nostra attenzione sono i risvolti che questa collezione presenta all’interno di una visione della storia della musica dal punto di vista sociale: riprendendo insomma le tematiche espresse da Henry Raynor nel suo famoso libro Storia sociale della musica, possiamo cogliere quale tipo di fruizione avesse la musica all’interno di alcune regioni dell’Italia fino alla metà dell’Ottocento, quali generi musicali e autori incontrassero maggiore fortuna (le numerose trascrizioni del Fondo ne sono una inequivocabile testimonianza) e quanto un certo tipo di pratica musicale fosse radicata nel territorio. Questo Fondo musicale rappresenta quindi una preziosa fonte di indagine e ricerca riguardo i gusti e le concezioni estetiche dell’epoca.
Concludiamo l’editoriale con le consuete riflessioni sugli avvenimenti di attualità. Come ormai ogni anno, i mesi compresi fra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera sono quelli che vedono, almeno per quanto riguarda Milano e provincia, la programmazione più intensa delle stagioni concertistiche dedicate alla chitarra. Nulla di male, per carità, e anzi ben vengano tutte queste manifestazioni che praticamente dall’inizio dell’anno hanno visto una scadenza quasi settimanale. Non saremo certo noi a lamentare un eccesso di programmazione: solamente sarebbe forse più auspicabile che tutti questi concerti, anziché infittire l’agenda degli appuntamenti in questo periodo arrivando sin quasi a sovrapporsi e a saturare pericolosamente l’attenzione, fossero distribuiti con maggior equilibrio durante l’anno. Vi sono infatti lunghissimi periodi – e pensiamo ad esempio ai mesi che vanno dalla fine dell’estate a Natale – in cui di concerti per chitarra non vi è nemmeno l’ombra…
Accanto alle eccellenti stagioni di Cologno Monzese e della Palazzina Liberty a Milano – realizzate con encomiabile perseveranza da Claudio Tumeo e Rocco Peruggini – dove si sono alternati sulla ribalta nomi ormai affermati e giovani assai bravi e promettenti, vi è stata l’esibizione molto attesa di John Williams. La sua assenza in qualità di solista dalle scene milanesi da diversi anni ha ovviamente richiamato molta gente nella Sala Verdi del Conservatorio, affollata da un pubblico di aficionados visto che il concerto era fuori abbonamento. Meglio così, perché certamente gli abitués della stagione sarebbero rimasti un po’ straniti nel vedere l’arzillo personaggio dai capelli bianchi ma dal fisico giovanile entrare trotterellando in scena vestito da passeggio, sedersi con la sua chitarra amplificata dal suono stratosferico (e, tutto sommato, abbastanza fuori luogo specie per alcuni brani in repertorio, come le Sonate di Scarlatti) ed evitare ostinatamente di alzarsi per ringraziare degli applausi fra un pezzo e l’altro.
D'altra parte si sa, il personaggio ha sempre rifuggito la formalità, a volte con atteggiamenti finanche eccessivi. L'accoglienza è stata calorosa e il pubblico, pur fra giudizi discordanti, gli ha tributato un entusiastico successo. Da parte nostra la pensiamo così: senza entrare nel merito delle scelte del repertorio, non possiamo che essere lieti del fatto che nel mondo della chitarra ci sia ancora un mostro sacro in grado di richiamare un pubblico sufficiente a riempire una sala di più di mille persone.
John Williams ha rappresentato un inequivocabile punto di riferimento per la generazione di chi ha cominciato a suonare alla fine degli anni ’60; la sua impeccabilità, sicurezza e solidità lo hanno portato a livelli di professionalità fino ad allora impensabili. Ora però quelle qualità – fortunatamente – non sono più merce rara: lo abbiamo visto proprio in quei giovani nelle stagioni di cui sopra, ai quali, però, se avessero suonato come Williams chissà quante pulci sarebbero state fatte… Ed è un vero peccato che per i loro concerti si siano mobilitate solo poche decine di persone.
Con particolare piacere diamo notizia che alla direzione del Conservatorio “Antonio Buzzolla” di Adria è stato chiamato Marco Nicolè, già docente di chitarra presso lo stesso Conservatorio. Gli auguriamo buon lavoro e un in bocca al lupo di cuore, soprattutto in un momento così delicato per le istituzioni musicali. Proprio il Conservatorio di Adria ha organizzato ai primi di marzo un Convegno dedicato alla didattica chitarristica (“didattica di base ed effetti concreti della Riforma nella didattica in generale”). In occasione del convegno, che si terrà ogni anno, è stato inaugurato il “Centro di aggiornamento sulla didattica chitarristica” la cui sede sarà lo stesso conservatorio.
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