Sommario Fronimo N° 161 gennaio 2013 |
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Editoriale del n° 161 gennaio 2013 Il primo numero del 2013 si presenta come una sorta di viaggio in terra italiana. Si parte infatti da Napoli con l'articolo di Thomas Heck che affronta la questione della cosiddetta "chitarra francese", denominazione che a dispetto del suo significato cominciò a comparire nella città partenopea alla fine del XVIII secolo. Il viaggio prosegue poi a Milano, dove Francesco Biraghi e Paola Carlomagno hanno colto i primi risultati concreti e importanti delle loro ricerche su Antonio Nava, riuscendo finalmente a trovare i documenti che fissano la sua data di nascita, finora avvolta dai dubbi. Dedicato all'Italia è anche l'articolo di Marco Riboni che prosegue la sua analisi sulla forma-sonata focalizzando l'attenzione sulla produzione sonatistica delle composizioni con numero di Ferdinando Carulli. Nonostante il suo sterminato catalogo, l'operato del grande musicista napoletano è di gran lunga il meno conosciuto e frequentato della triade classica da lui formata assieme a Giuliani e Sor. Il viaggio si conclude quindi a Venezia dove Stefano Toffolo rintraccia la presenza della chitarra nella storia, l'editoria, la liuteria e la pittura nel periodo che va dal Cinquecento all'Ottocento. Usciamo dai confini italiani con Maurizio Ghelli Santuliana che negli anni Ottanta aveva scritto per "il Fronimo" un paio di articoli piuttosto originali. Il titolo scelto per quella che vuole essere una serie di almeno tre contributi, L'Apprendista stregone, dimostra che l'autore non ha perso la sua originalità e il senso dell'umorismo. Si tratta di alcuni semplici esperimenti che vogliono incuriosirci e stimolarci a conoscere i nostri strumenti in maniera più approfondita e consapevole. Purtroppo il 2012 se n'è andato portando con sé alcuni importanti personaggi del mondo musicale e della chitarra. Ci eravamo lasciati nel numero precedente con l'addio a Colin Cooper e ora dobbiamo registrare altri dolorosi necrologi che hanno segnato gli ultimi mesi dell'anno: sono infatti recentemente scomparsi due dei maggiori compositori del Novecento, ossia Hans Werner Henze ed Elliot Carter. Figure significative nell'ambiente musicale internazionale, hanno lasciato fondamentali contributi per il repertorio chitarristico arricchendolo con importanti composizioni, sia in ambito solistico che cameristico. Il ricordo di Henze è stato curato da Elena Càsoli e Marco Del Greco, l'In memoriam di Carter, invece, è firmato da David Starobin, il celebre chitarrista americano committente, dedicatario e primo interprete di Changes. Proprio riguardo a questi due grandi compositori, abbiamo in programma di ospitare, nel corso dell'anno, due importanti articoli: uno riguarderà la prima musica per chitarra sola scritta da Henze – musica solo recentemente ritrovata – che sarà analizzata da Andreas Grün, mentre l'altro scritto ci è stato promesso da David Starobin e sarà incentrato sulla genesi di Changes tramite l'esame della corrispondenza intercorsa fra il chitarrista e l'autore. Infine, pur esulando dalla stretta appartenenza al mondo chitarristico, vogliamo ricordare anche il grande musicologo statunitense Charles Rosen, scomparso nello scorso mese di dicembre. Chiunque abbia avuto a che fare con gli studi analitico-musicologici sul periodo classico non può che inchinarsi di fronte alla sua impressionante competenza, dimostrata in due libri fondamentali (fra i suoi tanti) quali The Classical Style. Haydn, Mozart and Beethoven del 1971 e il suo proseguimento Sonata Forms del 1980. Ricordiamo ancora adesso, a distanza di tanti anni, quando nel 1997, in occasione della presentazione del suo libro La generazione romantica, tenne in sala Verdi del Conservatorio di Milano un concerto (era un eccellente pianista) preceduto nel pomeriggio da una dottissima conferenza sull'argomento. Parlando in un italiano stupefacente nella sua precisione, lasciò letteralmente basiti gli astanti per la sua prodigiosa capacità nel citare a memoria e in maniera estemporanea sul pianoforte numerosi passaggi tratti dal repertorio sinfonico, solistico e cameristico. Il 2013 è invece l'anno dell'ottantesimo compleanno di Julian Bream (che, com'è noto, da qualche anno ha smesso di calcare le scene concertistiche), così come lo sarebbe stato di Ruggero Chiesa, del quale purtroppo ricorre invece il ventennale della scomparsa: chiunque voglia scriverci i propri pensieri, ricordi o considerazioni riguardo a queste due ricorrenze sarà il benvenuto. Il cd che vi proporremo, allegato al numero di aprile e registrato da Stefano Grondona, è anche una maniera di omaggiare la figura di Bream. È infatti intitolato Nocturnal e oltre appunto alla celeberrima op. 70 di Benjamin Britten comprenderà le Five Bagatelles di William Walton, i 5 Impromptus di Richard Rodney Bennett, All in Twilight e Muir Wood di Toru Takemitsu. In aggiunta quindi ai due articoli dedicati a Henze e Carter, vi saranno diversi interventi relativi ai contenuti del cd e prevediamo che nel 2013 il Novecento sarà il fulcro dei contenuti della rivista, oltre alle continuazioni degli articoli già iniziati nei numeri precedenti. E ora due parole sull'attualità. Su "The Guardian", l'autorevole giornale inglese, è uscita a metà ottobre la notizia dell'imminente pubblicazione della biografia di John Williams che, avendo vinto la propria reticenza, ha accettato di collaborare con l'autore del libro e suo amico.* La notizia era questa... quale era però il titolo dell'articolo? John Williams says guitar maestro Andrés Segovia bullied students and stifled their creativity. Nell'articolo che segue, l'autore della biografia, un certo William Starling, riferisce che il chitarrista australiano critica pesantemente il Segovia didatta, accusandolo di avere represso la personalità dei suoi allievi obbligandoli a ricalcare pedissequamente le sue scelte stilistiche, la sua maniera di suonare, le diteggiature da lui indicate, etc. etc. In poche parole, maltrattava gli allievi e castrava la loro creatività. Non è nostro scopo commentare o confutare tutto ciò, anche se potremmo dire che ogni allievo tende a trovare nel proprio maestro ciò che cerca. Ma c'è anche un'altra accusa che vale la pena riportare: Segovia era un conservatore e uno snob in quanto a gusti musicali. Può darsi. Perché? Perché quando nel 1977 ascoltò a Londra la Cavatina di Stanley Myers, chiese di chi era quela "very pretty tune" (canzoncina/melodia molto graziosa/carina). Venuto a sapere che era di Myers, non aggiunse più altri commenti elogiativi. Apriti cielo! Ecco lo snobismo segoviano! Come se il repertorio chitarristico fosse povero di melodie carine, dolciastre o sdolcinate... Perché citiamo tutto questo? Non è una novità che il più antisegoviano degli allievi di Segovia ne parli male. Quello che vogliamo far notare è che ancora, 25 anni dopo la sua scomparsa, l'unico modo per avere sui giornali titoli dedicati alla chitarra è associarli in una qualsiasi maniera al nome di Segovia. Ecco perché le uniche informazioni sulla biografia di Williams erano quelle relative alle critiche negative sull'operato segoviano. Da mezzo secolo, Segovia continua a servire come lasciapassare per ottenere notorietà o prestigio. Di Segovia hanno campato centinaia di allievi devoti, diverse decine dei "dieci allievi migliori" o dei "cinque allievi migliori", quelli che lo hanno adorato e adulato, quelli che lo hanno disprezzato e dissacrato e anche quelli che furbescamente e abilmente si producono in ammirevoli esercizi di equilibrismo a seconda della convenienza del momento. Noi abbiamo l'impressione che dopo gli anni Ottanta, quando sembrava che la chitarra stesse prendendo il volo, si stia ora attraversando un periodo di stallo, se non di regresso, per certi versi simile ai tempi pre-segoviani. Non sarebbe il tempo di fare un passo avanti? |