Sommario Fronimo N° 162 aprile 2013 |
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Editoriale del n° 162 aprile 2013 Non è raro che le date di anniversari, lutti e ricorrenze si intreccino casualmente fra loro, proprio come nel quadrimestre a cavallo fra il 2012 e il 2013. Saremmo presuntuosi e bugiardi se dicessimo di avere programmato l'uscita del cd di Stefano Grondona con la nostra rivista prevedendo l'esatta concomitanza di tutti gli avvenimenti che andremo ad elencare. Noi volevamo onorare la memoria di Ruggero Chiesa (1933-1993) a vent'anni della sua scomparsa con un progetto importante che sottolineasse anche i vent'anni della nostra gestione della rivista. Stefano Grondona voleva rendere omaggio agli ottant'anni di Julian Bream (anch'egli nato nel 1933) con un disco "simbolico" e pieno di riferimenti ad anniversari importanti per la storia della musica e della chitarra del Novecento. È così che è nata l'idea di "adottare" Nocturnal allegandolo a questo numero di aprile. Il disco festeggia anche un altro glorioso ottantenne: José Luis Romanillos, uno dei più importanti liutai contemporanei grazie anche al fondamentale lavoro di ricerca compiuto nell'ambito della liuteria storica. Grondona usa nel cd tre chitarre Romanillos, una delle quali era appartenuta a Julian Bream. Julian Bream, dunque, che festeggerà il suo ottantesimo compleanno in luglio, è il filo rosso che collega i brani contenuti nel cd visto che sono tutti a lui dedicati, quale logica e benefica conseguenza del suo infaticabile ed encomiabile lavoro di committenza. Ma quali sono le altre ricorrenze? Benjamin Britten, di cui si celebra il centenario dalla nascita, compose il suo Nocturnal op. 70, forse la più importante opera per chitarra dell'intero Novecento, cinquant'anni fa (1963). Di William Walton, rappresentato nel cd dalle sue Five bagatelles, ricorre il trentesimo anno dalla morte. Nessun particolare anniversario per i due brani di Toru Takemitsu, All in Twilight e Muir Woods. Lo stesso sarebbe dovuto valere anche per i Five impromptus di Richard Rodney Bennett, composizione per la quale abbiamo una particolare predilezione. Speriamo che questa registrazione contribuisca a risvegliare l'interesse dei chitarristi e che i Five impromptus tornino a far parte del repertorio corrente. Bennet è purtroppo scomparso alla fine dello scorso anno, dopo che il cd era stato inciso. Il 2012 si dimostra quindi un anno particolarmente nefasto per il mondo della musica. Dopo Elliott Carter e Hans Werner Henze che abbiamo ricordato nel precedente numero della rivista, salutiamo ora Richard Rodney Bennett con l'In memoriam a firma di Frédéric Zigante. Direttamente collegata a quanto sopra menzionato è una parte dei contenuti di questo numero. Dedicato al Nocturnal di Britten è il prezioso contributo di Laura Mondiello. Ovviamente non è possibile sintetizzare in poche parole un articolo denso che intende cogliere le istanze creative e strutturali di un brano così complesso. Già comunque dal titolo – intrigante con quel suo in-esistente – emergono tutte le emozioni, tutte le tensioni sostanziate da una struttura formale assolutamente geniale che anticipa e fa anelare, nella sua assenza, alla meraviglia del tema di John Dowland. Come avevamo anticipato nel numero scorso, siamo molto orgogliosi di ospitare un importante articolo di Andreas Grün dedicato a Hans Werner Henze, la cui figura trova ora su queste pagine, a pochi mesi dalla morte, degna e opportuna celebrazione. Il contributo di Grün è dedicato alla genesi della primissima opera per chitarra sola del compositore tedesco: la musica per il radiodramma Der Sechste Gesang, ideata a Ischia nel 1955 nella villa di William Walton. In quest'opera si trovano i germogli dei Drei Tentos che, estrapolati dalla Kammermusik 1958, furono eseguiti per la prima volta e resi famosi da Julian Bream (sì, ancora lui). Ma il caso non finisce di stupirci: Henze a casa di Walton nel 1955, ossia due ignari e futuri committenti che sotto l'influenza di Bream creeranno due capolavori. Andreas Grün ha voluto redigere lo scritto come se fosse un giallo, stimolando il lettore a intraprendere e rielaborare il percorso dei ragionamenti e delle ricerche che egli stesso ha compiuto. Nel prossimo numero presenteremo la seconda e ultima parte, molto più corposa anche a causa della presenza di parti del manoscritto di Henze (nei quali potremo rintracciare le prime apparizioni di elementi che più tardi entreranno nei Tentos). Diamo ora uno sguardo ai rimanenti articoli. Si conclude lo scritto di Stefano Toffolo dedicato alla storia della presenza della chitarra a Venezia così come viene testimoniata dall'arte liutaria e da quella figurativa: le reciproche influenze diedero inizio a una tradizione iconografica che durò dal Cinquecento all'Ottocento. Ecco così emergere gli splendidi quadri della famiglia Tiepolo nell'arte pittorica e le chitarre dei Sellas in quella liutaria. Riguardo proprio alla liuteria, viene citato da Toffolo uno dei più antichi esemplari di chitarra a sei corde, costruita da Santo Serafin nel 1727 e tuttora conservata al Museo del Castello Sforzesco di Milano. Continua incessante il viaggio nella storia della forma-sonata, iniziato da Marco Riboni da più di due anni. Ferdinando Carulli è ancora al centro dell'attenzione, questa volta con Sonate senza numero d'opera quasi del tutto sconosciute e con altrettanto poco frequentate Ouvertures in forma-sonata. Come nella precedente puntata, l'analisi di queste opere conferma ancora una volta le grandi qualità di Carulli, la cui produzione – non ci stancheremo mai di ripeterlo – è un'autentica miniera d'oro ancora tutta da scoprire. Maurizio Ghelli Santuliana è di nuovo presente con una seconda puntata del suo Apprendista stregone. Sempre curioso e provocatorio, Ghelli Santuliana è ora attento a valutare le influenze del manico della chitarra sulla sonorità dello strumento. Centro della discussione è il verificare se, con semplici ma efficaci esperimenti, le caratteristiche strutturali e costruttive del manico condizionino e modifichino effettivamente la resa acustica di una chitarra. Tocca ora ai lettori curiosi sperimentare e trarre le proprie conclusioni. |