Sommario Fronimo N° 181 gennaio 2018 |
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Anno quarantaseiesimo! Ogni volta che arriviamo a preparare la nuova copertina della rivista, nello scrivere il numero dell'anno tendiamo sempre a rimanere stupiti. Ancora qui?! Eh sì! Almeno per quest'anno siamo ancora qui. Ma non potremo continuare ad esserci senza il sostegno dei nostri abbonati. Vi ricordiamo quindi, che più che mai il futuro del Fronimo è nelle vostre mani,
A questo proposito, forse avrete notato (campagna abbonamenti a p. 6 del numero scorso) che quest'anno, allegato a uno dei prossimi numeri, riceverete il cd di Antonio Rugolo con musiche di Giuliani (recensito sul n. 179). Per poter ordinare la quantità giusta di copie del cd, abbiamo bisogno di ricevere i vostri rinnovi prima di aprile. Sappiamo che alcuni di voi hanno l'abitudine di aspettare la nostra lettera di richiamo prima di rinnovare il proprio abbonamento, ma se per questa volta voleste giocare d'anticipo, ci fareste un grande piacere.
Vediamo ora i contenuti di questo numero.
Ancora una volta Andrea Monarda ci fa avvicinare a un'importante composizione del Novecento, da lui analizzata con la consueta profondità. Chi vorrà studiare e suonare i Quattro pezzi che Ennio Morricone dedicò alla chitarra nel lontano 1957 troverà nell'articolo di Monarda un prezioso aiuto per comprendere il pensiero e le intenzioni del compositore. Lo stesso Morricone con una breve ma significativa lettera riconosce la correttezza delle intuizioni dell'articolista: è stato un piacere e un onore poterla riportare all'interno dell'articolo.
Di stampo completamente diverso lo scritto dedicato da Nicoletta Confalone a due chitarriste che hanno attraversato il XIX secolo e l'epoca Vittoriana, lasciando il segno nella storia della chitarra in Inghilterra. Si tratta delle sorelle Pelzer, Catharina Josepha, nota anche come Madame Sidney Pratten in seguito al suo matrimonio, e la sorella minore Julia, estremamente longeva, che non smise di suonare ed insegnare ben oltre i novant'anni. Le sue lettere e i suoi ricordi dipingono due donne forti e indipendenti che hanno costruito la propria carriera lavorando con costanza e passione.
Un po' di tempo fa avevamo pubblicato Urtext-mania, uno scritto di Eduardo Fernández riguardante la moda vigente di andare a caccia di manoscritti, mettendo in secondo piano le edizioni a stampa (approvate dai compositori, si intende). Prendendo spunto anche dalle considerazioni di Fernández, Luigi Attademo concentra la propria attenzione sul Capriccio diabolico di Mario Castelnuovo-Tedesco: avendo potuto consultare il manoscritto con la prima stesura e la successiva corrispondenza tra il compositore e Andrés Segovia, Attademo cerca di seguire il processo della genesi dell'edizione a stampa, ragionando sulle scelte segoviane e sulla possibilità di opzioni differenti da parte del chitarrista moderno. Pensiamo sia utile a chi oggi affronta questo brano essere consapevoli delle varie opzioni prima di scegliere la fonte di cui fidarsi, sperando che l'articolo sia d'aiuto in questo senso.
A nostro parere ha preso piede una chiara strategia di cancellare Segovia dalla storia della chitarra: negare la validità dei suoi interventi nel repertorio nato grazie alla collaborazione con compositori a lui vicini è un passo importante verso questa direzione. Purtroppo la storia del nostro strumento ha sempre proceduto come il Gioco dell'Oca, nel quale si va avanti per un po' e poi si ritorna al quadrato 1 e si ricomincia da capo: un'epoca d'oro viene seguita da un periodo di declino durante il quale si dimenticano o si rinnegano progressi, conquiste e personaggi del passato finché non appaia il nuovo profeta. A noi sembra proprio di attraversare uno di questi periodi di declino: la chitarra si "consuma" tra chitarristi, la giovane generazione ne ignora completamente il passato (così testimoniano i docenti che cercano di insegnare la storia della chitarra e del suo repertorio agli allievi di triennio e biennio)… e il nuovo profeta? Sarà mica YouTube? Mah!
E dopo questa fanta-ipotesi (beneaugurante? Abbiamo qualche dubbio…), ci congediamo dal primo Editoriale del nuovo anno ricordando Matanya Ophee che ci ha lasciati lo scorso novembre. Era un personaggio ben noto ai nostri lettori, sia per i suoi articoli sia per le lettere di fuoco spesso apparse nelle "idee a confronto" già dagli anni Ottanta. A distanza di tanto tempo dobbiamo confessare che, quando abbiamo assunto la responsabilità della rivista, una delle maggiori preoccupazioni che ci hanno assillato era la paura di commettere qualche errore che potesse provocare l'ira di Matanya e le conseguenti lettere di protesta e di critica. Grazie a lui abbiamo tenuto alto il grado di attenzione e gli saremo sempre riconoscenti per aver rappresentato questo "spauracchio" che ci spronava ad essere minuziosi, e per averci a volte (sospettiamo) graziato. Era un uomo tutto di un pezzo, una specie di John Wayne (così ci era sembrato al primo incontro a metà degli anni Ottanta) che combatteva per ciò che credeva giusto… e guai a chi gli capitava sotto tiro. Ma non dimenticheremo mai una mezza giornata trascorsa insieme, anche con Francesco Biraghi, nei pressi di Malpensa, dove Matanya era alloggiato in attesa di un volo l'indomani. Quando Matanya ricordava storie e aneddoti della sua vita era esilarante e quel giorno ce ne raccontò un'infinità con aggiunta di canzoni greche dal suo infinito repertorio di quando, da giovane, faceva il posteggiatore nei ristoranti svizzeri (uno dei suoi tanti mestieri). Stanley Yates lo ricorda nell'In memoriam.
Un'ultima considerazione: non vi è mai stato un articolo che abbia provocato tante reazioni come quello di Gerhard Penn su Matteo Bevilacqua, pubblicato sul numero scorso. Grazie all'intraprendenza della bibliotecaria del conservatorio di Trapani Consuelo Giglio e agli insegnanti di chitarra (Liliana Pesaresi, Stefano Mileto, Nello Alessi) si è proseguito, da una parte, nella ricerca di nuovi documenti, e dall'altra sono state organizzate tre giornate di studio dedicate al chitarrista e poeta trapanese. Un resoconto si può leggere nelle pagine delle "Idee a confronto" dove, inoltre, si presenta anche il certificato di morte scoperto grazie alle ricerche della bibliotecaria del Conservatorio di Foggia. Pur avendo sollecitato tali ricerche, avevamo qualche dubbio sul loro successo. Abbiamo invece scoperto che non solo a Vienna gli archivi riservano buone sorprese: chissà quanti documenti vi sono in archivi italiani che nessuno ha pensato di cercare e chissà quanti "tesori nascosti"… Basterebbe forse stimolare con le giuste domande delle persone intraprendenti come le due bibliotecarie, che non possiamo che ringraziare. (L.K.)
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