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D. Quale è stata la tua prima chitarra?

R. Uno strumento che mi ha regalato mia madre, mentre mi trovavo a letto a causa di una grave malattia ossea. Fu una degenza, in una clinica della riviera ligure, a Loano, che mi tenne immobilizzato per due anni senza potermi alzare. Un giorno, quando era già trascorso più di un anno, e io languivo senza avere più voglia di vivere, mia madre mi portò una chitarra con lecorde di acciaio, pensando di farmi un dono gradito. Non so perché le fosse venuta questa idea – credo che avesse ascoltato un conoscente che praticava un po' di accompagnamento – visto che io non sapevo quasi che questo strumento esisteva. Quando l'ho avuto accanto, ho toccato distrattamente le corde a vuoto, e ricordo che il loro suono è stato una rivelazione: subito qualcosa ha vibrato dentro di me. Posso affermare che l'amore per la chitarra è iniziato proprio da quelle poche note provocate dalle mie dita inesperte.

D. Quanti anni avevi quando hai cominciato a studiare, e chi è stato il tuo primo maestro?

R. Ho iniziato tra i 17 e i 18 anni, nella clinica dove ero ricoverato. Il mio primo insegnante sia chiamava Mario Canepa. Abitava a Loano, e per un giro di combinazioni riuscii a incontrarlo nella mia camera. Vedendomi sdraiato in un letto, mi disse subito che non si poteva suonare la chitarra in quelle condizioni, ma poi, forse impietosito dal mio stato, acconsentì a impartirmi delle lezioni. Assorbito completamente dal pensiero della musica, e avendo tutto il giorno a disposizione per studiare, i miei progressi furono notevoli: nel giro di sei mesi suonavo già abbastanza bene. Questo nuovo interesse riuscì anche a compiere quasi un miracolo nei confronti delle mie condizioni fisiche, e infatti, pur se con tutto   il busto ingessato, dopo qualche tempo i medici, che ormai disperavano di salvarmi, mi rimisero in piedi quasi guarito. Ricordo che non sapevo più come tenere lo strumento, tanto che gli amici, scherzosamente, mi dicevano: "Quando farai un concerto ti porteranno un letto sul palcoscenico, dove tu ti sdraierai per poter suonare la chitarra." Tornato a casa, a Camogli , ebbi l'opportunità di avvicinare quello che sarebbe stato il mio primo vero maestro.

Era   Carlo Palladino, allora concertista famoso, allievo prediletto di Luigi Mozzani o , che viveva e operava a Genova. Ho ancora in mente il nostro primo incontro. Andai a trovarlo in una casa non lontana dalla mia, dove si recava tutte le settimane per impartire lezioni a un ragazzo.


C. Palladino, foto del 1953 con dedica a Ruggero

Palladino era ancora a tavola con la famiglia del suo allievo, ed io gli raccontai la mia breve storia di strumentista. Mi fece vedere la sua chitarra con corde di nylon, delle quali non conoscevo neppure l'esistenza, e suonò poi il Capriccio arabo i Tárrega, pezzo che avevo soltanto sentito nominare. Io rimasi sconvolto dalla sua interpretazione e dalla qualità del suono, che Palladino aveva veramente bello e forte. Poi mi chiese di eseguire qualcosa, e i mi cimentai in Feste lariane, un pezzo che mi riusciva piuttosto bene, e che mi procurò i suoi complimenti. Ci mettemmo così d'accordo per le lezioni, che ho ricevuto settimanalmente per più di due anni. Palladino stava attraversando un periodo difficile della sua vita, poiché i suoi allievi erano pochissimi. Io lo vedevo come una figura irrangiungibile, e ho compreso soltanto in seguito i problemi che lo affliggevano. Egli mi fece conoscere quella letteratura classica che io ignoravo, Sor, Giuliani, Carcassi, Aguado, e anche il tocco appoggiato, la novità dell'epoca. Palladino, che praticava molto bene il tocco libero, si vergognava quasi di non saper usare con altrettanta bravura l'appoggiato. Non sapeva invece che era la sua fortuna, poiché questo gli consentiva una grande agilità nella mano destra, un dono poi scomparso nella generazione immediatamente successiva, ciuoè la mia, fuorviata da uno studio tecnico improprio e pesante.

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