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Allora non ami molto Legnani.

Nelle composizioni dove egli cerca solo l'effetto plateale, senza una minima sostanza musicale, sicuramente no.

E quale musicista non chitarrista ti piace di più?

Ci sono i compositori che si stimano e quelli che si amano. Naturalmente io stimo tutti, grandi e meno grandi. Quanto all'amore, non sempre lo provo in modo spontaneo, anche se ci sono nomi, come quelli di Bach, Mozart, Beethoven, che mi coinvolgono completamente. C'è però un musicista che amo particolarmente, ed è Schubert.

Escludendo la chitarra, qual è lo strumento che preferisci e perché?

Forse il violino. A parte la sua letteratura, questo strumento mi affascina per il modo di tenerlo, di cavargli il suono. C'è qualcosa di profondo, di misterioso in tutto ciò. Anche il pianoforte mi interessa però, sia per le sue caratteristiche, sia per quello che rappresenta nella cultura musicale.

L'impostazione delle mani sulla chitarra. Quali sono le tue idee in proposito, specialmente riguardo la mano destra?

È una argomento semplice e complicato nello stesso tempo. Semplice perché le basi tecniche sono, devono essere, elementari; complicato perché certi princìpi diventano discutibili se visti da angolazioni diverse. C'è un presupposto importante da compiere: la tecnica, a parte i suoi fondamenti meccanici, è la conseguenza dell'idea interpretativa. Si tengono le mani in un certo modo perché si vuole raggiungere un certo risultato musicale. Per questa ragione esistono similitudini meccaniche tra interpreti che tendono a risultati comuni.

Circa l'azione delle dita, , ma anche dell'insieme braccio-polso-mano, credo nell'alternanza tra tensione e rilassatezza, ma senza confondere la prima con la rigidità e la seconda con l'inerzia. Non è facile come sembra comprendere la differenza tra questi estremi. La mano rigida dà l'illusione di una certa sicurezza: trova subito le corde, il suono è robusto, ma solo nei movimenti lenti, mentre non riesce a produrre velocità. La mano troppo morbida ha un'apparente sensazione di facilità e di scioltezza, provoca un suono dolce, ma anch'essa si ingarbuglia nei passaggi veloci, per mancanza di controllo nell'alternanza delle dita. Rigidità e inerzia hanno quindi in comune l’incapacità di realizzare una tecnica brillante. Se invece questi atteggiamenti sono modificati, e si giunge ad un giusto equilibrio, si possono ottenere ciò che io definisco "le tecniche" della mano destra, proprio attraverso un impiego alternato di rilassamento e di tensione. ....

Questi diversi comportamenti si impiegheranno poi a seconda delle esigenze musicali, ed ecco perché ho affermato che la tecnica deriva dai criteri di interpretazione. Quale chitarrista userà il movimento del polso se non avverte la necessità del peso sonoro? E quale innerverà la mano se gli manca il senso dell'elasticità? Guardiamo i pianisti, quelli bravi si intende. Il loro polso si alza o si abbassa, le dita si tendono o si articolano, e ciò per adeguarsi alle varie necessità del discorso musicale. Il chitarrista, invece, pensa troppo spesso di dover suonare ogni cosa con la stessa impostazione. Scale, arpeggi, accordi, tutto viene fatto secondo un unico principio.

Il rapporto musicalità-tecnica deve essere sviluppato a cominciare dall'impostazione iniziale?

Sì. L'errore che si compie generalmente è quello di risolvere le azioni esclusivamente meccaniche, senza pensare al fatto estetico. Invece, dal momento in cui si toccano le corde a vuoto bisognerebbe curare non solo il buon suono (a volte difficile da ottenere subito), ma soprattutto il senso del legato, e così quando si passa ad una scala o frammento di scala. Questo diventa poi assolutamente necessario nel momento in cui si eseguono le prime composizioni. Non per nulla ho scritto il metodo intitolato Guitar Gradus. Qui ho cercato di far comprendere che nel primo periodo di studio è necessario suonare composizioni estremamente semplici, risolvendo insieme il problema tecnico e quello musicale, che secondo me non devono mai essere disgiunti. Ho sempre in mente certi terribili saggi di bambini, costretti a pestare sulla chitarra, a suonare completamente slegati... Una vera sofferenza! Invece il bambino, o il principiante, deve far musica dal primo giorno in cui prende in mano lo strumento.

Tu affermi che è sbagliato far assumere all'inizio una posizione fissa alla mano del bambino.

Penso che non si debba bloccare la sinistra su posizioni accordali, né tantomeno impegnarla in prematuri allargamenti.


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Come deve essere un corretto procedere?

Bisogna giungere alla tecnica polifonica con gradualità. ... La staticità della sinistra, spesso prematura, può influire negativamente anche sulla destra. Se invece si suonano all'inizio brani monodici, alternando le dita della mano destra non in formule di arpeggio, si può sviluppare molto di più il concetto orizzontale e il senso della cantabilità. Il fraseggio legato derivante dall'arpeggio è pur sempre passivo, mentre quello ottenuto suonando una melodia rappresenta una vera conquista musicale. Dalle composizioni monodiche si può poi passare a quelle polifoniche non troppo difficili, e poi a tutte le situazioni accordali che si trovano nella nostra letteratura. Così facendo, si eviteranno durante lo studio certi traumi che non dipendono tanto dalle incapacità degli allievi, quanto dalla loro reale impossibilità di superare alcuni ostacoli. Ingabbiati a suonare pezzi di struttura armonica o addirittura contrappuntistica prima di possedere la preparazione necessaria per affrontarli, molti abbandonano lo strumento pensando di non avere qualità sufficienti: non sanno invece di essere rimasti vittime di una diffusa incapacità pedagogica.

Come deve essere l'allievo? Obbediente, creativo...?

Deve essere obbediente ma non fanatico. Occorre che ci sia un rapporto di fiducia e di simpatia tra il maestro e l'allievo, il quale deve avere la sensazione di stare accanto ad una persona che gli dice qualcosa di convincente, senza per questo volerlo dominare. Il desiderio di prevaricazione da una parte o dall'altra è molto pericoloso. Ci sono allievi che si oppongono, e in questo caso il rapporto diventa difficile come se io volessi oppormi a loro. C'è invece bisogno di molta affinità, di dolcezza e di stima reciproca. È necessario che anche la scelta sia reciproca: non tutti gli allievi possono andare d'accordo con un maestro, e viceversa. Se esistono tutte queste condizioni, si possono raggiungere buoni risultati.

Con i tuoi allievi è frequente questo tipo di rapporto?

Abbastanza, anche perché prima di accettare definitivamente un allievo voglio conoscerlo, per cercare di comprendere la sua personalità. La futura collaborazione può esistere soltanto se nasce quella scintilla che ci fa capire la possibilità di lavorare uno per l'altro. Non ho parlato delle qualità musicali, ma è ovvio quanto siano importanti. Ad ogni modo, non si tratta nel campo della didattica di creare dei geni, cosa del resto impossibile, ma di sviluppare in ogni persona tutte le sue potenziali possibilità.

..Ma gli ostacoli non risiedono soltanto nel settore della tecnica e della musicalità. Bisogna considerare i fattori psicologici di coloro che non sanno esprimersi neppure come persone. Chi non possiede il desiderio e la capacità di porsi al di fuori delle angosce quotidiane, difficilmente saprà essere un buon esecutore. Lo scatto della mano è possibile se esiste lo slancio interiore.

Forse il chitarrista d'oggi dovrebbe capire che la sua vera soddisfazione è comprendere ciò che un giorno rimarrà di lui. Molitor e Matiegka non hanno mai eseguito un concerto, e sono ricordati; Mendel è stato probabilmente un interprete acclamato, ma non resta nulla di quello che ha fatto.

Non sempre le persone si interessano della loro immagine dopo la morte. Il giovane, poi, e così lontano da questo pensiero, e affida le sue speranze a qualcosa di più immediato: il suonare, l'applauso, l'emozione che brucia rapidamente. Neppure il musicologo pensa sempre al dopo. Per me è così, credimi. Nel mio lavoro mi muove soltanto la curiosità di scoprire un nuovo pezzo, come se fosse un tesoro sepolto da tanto tempo, di analizzare le opere di un compositore, di comprenderne a fondo il valore.

Per me, all'interno del lavoro musicologico, è un assurdo che un chitarrista frequenti certi corsi come l'università di Cremona. Qui capirà la musica greca o medievale, ma nulla di ciò che è avvenuto dal Settecento in poi.

Non credo. Quando sono andato a Siena per studiare con Pujol ho respirato un'atmosfera addirittura arcaica per me, anche se si trattava del repertorio cinquecentesco. Questo non mi ha impedito di conoscere e di amare ancora di più la musica dei secoli successivi. Tutto sta a non farsi fagocitare dalle strutture accademiche, che tendono a dare una formazione puramente scolastica. Questo purtroppo, è da imputare a certi esponenti della così detta cultura musicale italiana, i quali, dalle cattedre di insegnamento, sui libri, sui giornali, non fanno altro che ripetere passivamente le lezioni che avevano ricevuto quando erano sui banchi di scuola. Voglio dire che troppi musicologi scrivono per l'ennesima volta una saggio su Wagner, non aggiungendo nulla di sostanziale a quanto già si sapeva, mentre trascurano personaggi e momenti storici sui quali tutto è ancora da scoprire.

Allo studioso, che ha spesso cultura (meglio sarebbe dire esteso nozionismo) e grandi capacità analitiche, manca invece la fantasia e la sensibilità poetica. La musicologia non è soltanto lo studio distaccato del passato, ma la sua interpretazione filtrata attraverso lo spirito moderno.

Questo non significa rinunciare alla purezza filologica, ma comprendere i mezzi con i quali attuare il rinnovamento continuo della musica scritta nei secoli scorsi, senza renderla statica. C'è poi un altro compito importante da assolvere tramite la ricerca storica. La musicologia deve salvare un patrimonio del passato che può rischiare di spegnersi, e del quale noi abbiamo assoluto bisogno.


Incontri chitarristici di Gargnano 1976. Corso di trascrizione delle intavolature

La civiltà musicale contemporanea non ci offre valori assoluti, e così cerchiamo di ricuperare nel passato gli elementi che ci aiutano a vivere. Ci possiamo paragonare a persone che devono compiere un lungo viaggio, e che devono fornirsi di provviste. Il musicologo offre, attraverso i suoi studi, qualcosa che non lasci del tutto disarmati durante un cammino che si muove tra l'indecisione, il dubbio, e a volte la disperazione. È un compito molto importante, che va al di là della conoscenza storica.